VITTIME DELLA 180
Le testimonianze che mostrano come la 180 sia inefficienza, crudeltà, sfruttamento, superstizione

Vittime della 180

Dimostrare che la legge 180 è dannosa e, spesso, omicida

Trieste, la testa del serpente

Ho perso un figlio di 24 anni, alto 1,94, forte e bello.  Era colto affettuoso, generoso,  buono, geniale. Raffinato pianista classico, suonava da più di dieci anni in complessi musicali. Era un ottimo improvvisatore  di jazz.  Si era diplomato, con un anno di anticipo,  in informatica, e lavorava con ottimi risultati nella sua materia.  Era all’ottavo anno di conservatorio.

Ne voglio anche denunciare il martirio. Della sua morte ritengo infatti responsabile la struttura psichiatrica di Trieste, bravissima nel pubblicizzarsi, penosamente inadeguata a curare una psicosi come quella di mio figlio

Giulio ha avuto il primo episodio della malattia nel 2001.  Oltre ad avere crisi bipolari, depressione seguita da eccessiva euforia, aveva anche delle fortissime allucinazioni auditive: sentiva delle voci.   E’ scappato di casa e lo abbiamo ritrovato  dopo 15 giorni a Roma.  E’ stato ricoverato per qualche giorno in Ospedale laggiù e poi ho potuto riaccompagnarlo a Trieste, dove è stato preso in carico dalla struttura locale.  Ho subito notato una prima incredibile cosa: i sanitari non si sono neanche preoccupati di sapere le cure che aveva ricevuto a Roma. Inoltre hanno iniziato a tenere nei miei riguardi un comportamento distaccato, a non parlarmi, a tenermi assolutamente all’oscuro della malattia di Giulio e delle cure che gli facevano. Se gliene facevano. Avevo anche l’impressione che montassero mio figlio contro di me: io lo tenevo in casa, lo curavo, lo mantenevo, sopportavo le crisi della sua malattia, vivevo le sue angosce e le sue violenze.  Ero trattato però da loro come un estraneo che non doveva impicciarsi di cosa succedeva a mio figlio.   Intanto avevo cominciato ad informarmi ed a capire un po’ di più della malattia.  Quindi ad ottobre   ho portato mio figlio a Genova  da un bravo professionista, il dott. D’Alessandro, appena tornato dal Canada: era stato primario in un ospedale di Toronto e portava in Italia le ultime tecniche psichiatriche. Questi  ha  trovato una ottima cura per Giulio, cura che lo ha rapidamente  migliorato.   Purtroppo, a dicembre gli psichiatri di Trieste hanno addirittura sospeso ogni cura a Giulio: lo trattavano con colloqui psicologici.  Inoltre, continuavano a plagiare  il ragazzo mettendolo contro la famiglia, inculcandogli  che la psichiatria di Trieste era la migliore del mondo e, naturalmente, tacendomi la situazione di Giulio ed evitando di darmi una diagnosi. Ad Aprile Giulio è di nuovo scappato. Ho interessato “Chi l’ha visto” e dopo qualche giorno una stazione di Polizia di Roma mi ha comunicato che Giulio era da loro.   Dopo un’altra permanenza in un Ospedale di Roma, siamo tornati a Trieste, dove è ricominciata la solita routine. Giulio intanto reagiva alla malattia,  dimostrando un tenace attaccamento al suo lavoro di perito informatico, che ha sempre svolto con impegno malgrado le sofferenze.   Aveva la fortuna di lavorare con una datore di lavoro e colleghi che capivano la sua condizione ed aiutavano lui e tenevano informata la famiglia.  

Nel luglio 2002 mio figlio è stato ricoverato in TSO a Trieste. E qui ho vissuto un’altra esperienza incredibile e di feroce crudeltà. I basagliani, come noto, sostengono che la miglior cura di questi malati è la libertà. Quindi  il loro SPDC ha la porta aperta, contrariamente a quelli di tutte le altre città. Per evitare che Giulio uscisse,  intontivano il mio povero ragazzo con dosi massicce di calmanti. Giulio si lamentava che non riusciva non solo ad alzarsi, ma neanche a portare la forchetta alla bocca per mangiare. Non poteva camminare perchè perdeva l’equilibrio; se tentava di mangiare rischiava di soffocarsi, e personale e medici mi rimproveravano perchè gli portavo della macedonia di frutta per fargli avere almeno un minimo di alimentazione. L’abuso di sedativi per non chiudere la porta è stato confermato anche a mio fratello, e riconfermato a me da un sindacalista.

Insomma Trieste non ha mai dimostrato quella flessibilità, quella capacità di adattarsi alla realtà del malato, che è propria del buon medico.Hanno sempre ragionato per schemi ideologici ed a quelli rimanevano ancorati: il malato deve avere la sua libertà e fare ciò che vuole, l’unica cosa importante è la sua socializzazione ed altre enunciazioni  di questo tipo, forse buone  nei casi più lievi, ma senz’altro inutili in una patologia grave come quella di mio figlio.

 Nel settembre 2003,  dopo aver subito ripetute interferenze disastrose da parte dei medici del centro di salute mentale,   completamente insoddisfatto dell’assistenza di Trieste, ho portato Giulio dal Prof. Cassano a Pisa. Qui ho trovato, come del resto dal dott. D’Alessandro, un clima del tutto diverso. Si aveva l’impressione di un reale e concreto concentrarsi sui problemi del malato, senza enunciazioni ideologiche e senza frasi fatte.    A Giulio è stata fatta una visita lunga ed approfondita. Poi siamo stati sentiti insieme.  Cassano ci ha detto che la psicosi di Giulio era sicuramente una psicosi molto grave. Che andava curato molto seriamente e che lui suggeriva di tentare con l’elettroshock, che nei casi come quello di Giulio, aveva effetto nel 30-40% dei casi e che, contrariamente agli psicofarmaci,  non aveva alcun effetto collaterale né a breve né a lungo termine.  Siamo tornati pieni di speranze e con Giulio deciso a provare questa nuova cura.   Sono stato però sbeffeggiato e criminalizzato dai luminari di Trieste: osavo contrastare le loro teorie. La realtà è che l’unico antipsicotico che gli somministravano -l’aloperidolo – non aveva alcun effetto su mio figlio ed anzi aumentava, mi diceva Giulio, le sue allucinazioni.  Insomma, anche questa speranza veniva vanificata.

Siamo andati avanti così per qualche anno, tra periodi di benessere e ricadute.   Nel 2006, forse per tenerci tranquilli, Giulio andava a lavorare, con una borsa di studio proprio all’interno del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste.   Nel giugno 2006 peraltro, con l’arrivo del caldo, è mio figlio ha avuto una violenta crisi della malattia.  Ho immediatamente chiesto aiuto ai medici di Trieste. Per mesi e mesi non mi hanno neanche risposto e non hanno adottato alcun provvedimento.

Ho fatto tutto quello che ho potuto: annunci sui  Giornali, appelli al Ministro della Sanità, la Turco, e all’assessore alla Sanità della Regione; nessuno ha mai risposto.  E la crisi, trascurata e negata dai medici di Trieste,  aveva un impatto enorme: Giulio ha completamente  abbandonato il pianoforte. Ha addirittura distrutto il suo computer. Nell’ottobre avviene una tragedia: un giovane assistito dallo stesso centro di salute mentale (Domio – dr Marsili),  Riccardo Rasman,  muore  soffocato da 4 poliziotti, impropriamente intervenuti a sedarlo durante una crisi.   Gli psichiatri triestini hanno forse temuto il ripetersi di una tragedia ed  hanno ricoverato mio figlio in TSO. Però l’hanno dimesso il terzo giorno: troppo presto per ridurre il livello di psicosi e di maniacalità.   Ritengo che pensassero che, comunque, si erano già procurati un alibi. Giulio riprendeva il suo lavoro. Il 28 febbraio del 2007, mentre doveva essere al posto di lavoro, mio  figlio è andato a  cercare un edificio sufficientemente alto per il suo proposito: a breve distanza c’era la casa con l’appartamentino che gli avevo messo a disposizione, anche quello abbandonato. E’ andato a buttarsi dall’ultimo piano.    Perché nessuno di quelli che doveva curarlo, se ne è accorto?

Nessuno poi si è preoccupato di avvisarmi, di spiegarmi cosa è successo, cosa gli hanno detto, con chi ha parlato, cosa gli hanno fatto per causargli una così disumana sofferenza da dimenticare la famiglia, la amatissima sorella Laura,  il papà  col quale c’era una straordinaria intesa, la mamma che proprio lui era riuscito a riabilitare da una grave malattia. Perché ha compiuto quel gesto? Perché non l’hanno impedito?  Nessuno del personale, dei medici, dei dirigenti né di quel centro di salute mentale né del dipartimento ci hanno avvicinato. Quando qualche settimana dopo sono andato sul posto assieme a mia moglie, nessuno -ripeto: nessuno- ha voluto parlare con noi.

Giulio ha perso la vita. Eppure vi erano tre importanti motivi che dovevano impedire che questo accadesse:  era in cura presso la struttura preposta proprio per impedire a questi malati di farsi del male. Lavorava per la struttura stessa, che quindi lo avrebbe dovuto avere  sotto gli occhi tutti i giorni.   Lavorava addirittura nei loro locali.  

La storia di mio figlio Giulio si trova  nel sito che ho gli ho dedicato: www.giuliocomuzzi.it . Vi prego visitate il sito  e ricordate anche Voi il mio ragazzo. E fate tutti in modo che quanto è successo a Giulio non debba avvenire mai più.